Il fatto è tragicamente noto: Carol Maltesi, 26 anni e un figlio di 6, è stata uccisa e fatta a pezzi dal vicino di casa, tal Davide Fontana reo confesso, con cui pare avesse intrettenuto una relazione.
La vicenda parla da sé nella sua tragica bestialità, mentre si svela poco a poco la vita di questa ragazza che «voleva smettere per il figlio» [Il Messaggero] e che, letta a ritroso, mostra fragilità e solitudine, a cui andava -da subito- tributato quel rispetto che si deve ai morti, ai morti ammazzati soprattutto, alle donne vittime dei violenti ancora più che soprattutto.
Un rispetto che è dovuto indipendentemente dalle scelte fatte in vita dalla vittima, che nessuno sa quanto fossero consapevoli del male che avrebbero alla fine portato. Invece, nella semplificazione linguistica cui la rete obbliga, si tende a ridurre una persona alle sue scelte senza possibilità di appello: in rete è per sempre. Quello che sappiamo per certo è che non possiamo fermarci a quanto ci appare a prima vista della vita di una persona, tantomeno se è quella di una donna esposta in un set pornografico.
Per questi motivi, leggere i tanti titoli di cronaca della prima ora, tra cui i due esempi riportati nell'immagine di copertina, che identificano la vittima come 'l'attrice porno' o 'la pornostar', col suo nome d'arte e senza il suo nome anagrafico, rischia di gettare altra terra addosso alla vittima. Chiamatela Carol, per favore, non 'la pornostar'. Che Dio, ora, ne abbia cura.
© Marco Brusati
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