Chi pensa che il rapporto tra denaro facile, social network, promozione dei prodotti e condotte disperatamente devianti non esista, dopo questa doppia storia potrebbe anche ricredersi.

In meno di un mese, infatti, due influencer sono morti dopo essersi ripresi in una sfida online in cui bevevano grandi e fatali quantità di superalcolici.

Il primo era di Hong Kong e si faceva chiamare Sanquiange ed «è morto poco dopo aver fatto un live streaming sulla versione cinese di TikTok bevendo diverse bottiglie di superalcolico» L'influencer «aveva preso parte ad una sfida online nota come "PK" contro un altro influencer nelle prime ore del 16 maggio» [CNN]. Cosa sono le sfide PK? PK è un acronimo di Player Know-out e sono delle competizioni tra streamers, ovvero creatori di contenuti online, in cui il vincitore è decretato dagli spettatori. In tutto questo, il ruolo degli spettatori non è solo passivo, ma parte integrante della sfida e come tale va considerato corresponsabile di quanto avviene, per quando questa valutazione possa ancora valere nelle coscienze arrugginite da strati di esperienze mediali che ne compromettono il funzionamento, come succede ad un orologio meccanico buttato nel mare. E tra il pubblico di queste esperienze estreme, se non di questa specifica ma di questo tipo, siamo sicuri che non ci siano anche i nostri giovanissimi figli ?

Un secondo caso analogo è avvenuto il 2 giugno, quando il livestreamer cinese Zhong Yuan Huang Ge «è morto dopo aver bevuto abbondanti quantità di forte liquore locale davanti alla telecamera.». Era conosciuto come Brother Huang dai suoi 176mila followers. Tutto questo è avvenuto nonostante le autorità cinesi abbiano vietato «31 comportamenti scorretti da parte dei livestreamer» [CNN].

Detto questo, ci sono alcune considerazioni a margine: le sfide all'eccesso, il fuori-norma, il fuori-regola, così come l'esposizione di sé in maniera impropria per l'età sono modalità percepite come semplici per guadagnare notorietà e denaro velocemente, attirando la pubblicità dei marchi, diretta o indiretta, all'interno dei video: ciò che importa, per dirla in breve, sono i numeri che fai, non come e perché li fai; se ti abbrutisci o abbrutisci gli spettatori non è un problema per chi guarda i numeri ed il valore che ai numeri viene dato; detto per inciso, si sono buttati oltre due millenni di elaborazione del concetto di persona, unica, irripetibile, bene e fine in sé, non strumento.

Che si possa morire, lo abbiamo visto, ma se ci fermiamo a parlare dei problemi solo quando qualcuno muore davvero, facciamo troppo poco per dirci adulti capaci di fare il nostro dovere generazionale. Anche se non si arriva a morire di Social, si muore già quando persino ai bambini trasmettiamo -in pensieri, parole, opere e omissioni- un sistema di pensiero secondo il quale prima di tutto c'è il diventare famosi, noti, conosciuti, emersi dalla massa, invidiati, ammirati, pieni di soldi, ad ogni costo e con ogni mezzo; il tutto, usando il proprio corpo che ha perso così il suo valore socio-relazionale non-commercializzabile, divenendo un bene di consumo che produce rendita, che serva a sopportare quantità indicibili di alcool, a rimpinzarsi di cibo oppure a mostrarsi con pochi o senza vestiti.

É, questo, un sistema di pensiero cui nessuno può dirsi totalmente esente e che è diffuso nei meandri delle nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre parrocchie, dei nostri gruppi, delle nostre associazione; un sistema di pensiero definitivamente malato, che la solitudine di uno smartphone amplifica a livelli parossistici e che il mondo adulto ed educante pare abbia accettato senza nemmeno giocarsela un poco, senza, per dirla calcisticamente, nemmeno il goal della bandiera. Perdere 10 a zero è perdere male; perdere 2 a 1 è perdere bene. Perdiamo, va bene, sappiamo che non abbiamo abbastanza forze, ma almeno giochiamoci la partita dell'educazione fino al 90° minuto, anche ai supplementari e pure ai rigori. Perdiamo, ma almeno con onore. Perché quel che stiamo facendo adesso è più simile al comportamenti di chi si rifiuta di uscire dagli spogliatoi per paura di farsi male. Giochiamo e perdiamo. Ma giochiamocela, 'sta partita!


© Marco Brusati
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