Capisco che l'invito a buttare i cellulari può essere provocatorio, ma leggendo i dati del dossier «L'abuso sessuale online in danno dei minori*» le soluzioni alternative mi paiono di poca consistenza pratica. Se non si vogliono buttare, si tolgano [cf. Save the Children].
La ricerca è stata curata dal Centro Nazionale per il contrasto alla pedopornografia online (C.N.C.P.O), dal Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma con la collaborazione di Save the Children: siamo dunque in buone mani per quanto riguarda i dati. Vediamo brevemente cosa dicono.
Il primo dato, sconcertante ma non sorprendente, è che nel 2021 i casi di pedopornografia sono aumentati del 47% L'aumento dell'uso degli strumenti digitali individuali durante le varie chiusure pandemiche ha normalizzato lo smartphone (o il tablet) come strumento che si può dare in mano ai bambini; così, nella solitudine delle loro camerette, tra una DAD e una DID, si sono trovati tra le mani un mondo in cui, illudendosi di andare a caccia, si finisce per diventare prede, da pescatori a pesci all'amo. Pur nella necessità del periodo che non è qui in discussione, le agenzie educanti non hanno saputo comprendere che occorre costruire una relazione critica o prudenziale tra bambini e strumenti digitali, non metterceli dentro acriticamente.
Il secondo dato è che quasi il 60% delle vittime di adescamento online riguarda la fascia «tra i 10 e i 13 anni, ma crescono anche i casi (...) dei bambini nella fascia 0 - 9 anni» [Ansa]. Siamo di fronte a palesi violazioni delle regole di ingaggio che, per la maggior parte dei casi, proibisce ai minori di 13 anni l'uso di Social Network, delle applicazioni di messaggistica: ciò significa che o vengono forniti dati falsi oppure si utilizzano account di adulti. In entrambi i casi c'è una violazione di regole, attualmente senza sanzione
Considerato che lo smartphone ai bambini ha smesso di essere, come dovrebbe, una questione educativa, urge azzerare la disponibilità di offerta, ovvero la presenza di bambini e ragazzini online sotto una certa età, 13 anni per esempio: essere presenti in chat, app, giochi vietati all'età, con o senza il parere o il permesso di chi esercita la potestà genitoriale, deve diventare un divieto normativo, non una concessione secondo il buon cuore del gestore del sistema mediale. La cosa è da studiare nei dettagli, ma questa è, a mio avviso, la strada da percorrere. E, almeno in questo caso, non si invochi la libertà, perché la libertà di farsi del male da piccoli non è un tema da prendere in seria considerazione. O almeno, così mi pare.
*Dossier a cura del Centro Nazionale per il contrasto alla pedopornografia online (C.N.C.P.O) del Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma con la collaborazione di Save the Children.
© Marco Brusati
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