Il celebrante che canta un brano di musica leggera non è una novità assoluta. Già nel 2015 il Vescovo di Noto, mons. Antonio Staglianò, aveva fatto l'omelia per la Messa dei cresimandi cantando Noemi e Mengoni e se ne era parlato molto.
Si può vedere il video cliccando sull'icona sottostante.
A poche ore dalla chiusura del Festival di Sanremo, don Matteo Selmo, sacerdote di Lonato del Garda, ha fatto il giro del web per aver intonato durante l'omelia domenicale «Brividi» di Mahmood-Blanco, «O forse sei tu» di Elisa e «Apri tutte le porte» di Gianni Morandi. Il video è diventato subito virale, Gianni Morandi lo ha ripreso sui Social e Blanco ne ha commentato positivamente l'utilizzo, pur senza entrare nel merito [cf. Corriere TV].
Nel suo «Caffé» del 22 febbraio, Massimo Gramellini ha aperto la discussione mediale dicendo di avere «qualcosa da eccepire» sulla «motivazione del prete canterino», che ha sostenuto di «averlo fatto per avvicinarsi ai giovani» [Il Corriere]. A questo punto i pro e i contro si sono schierati e hanno dato vita a un vivace dibattito, nel contesto del quale da più parti mi è stato chiesto che cosa ne pensassi, avendo curato un centinaio di eventi ecclesiali con molta musica dentro, tra cui una decina di eventi papali. Premesso che ho simpatia per don Matteo, ho pensato di rispondere con cinque note di metodo anzitutto per scardinare la banale dicotomia tra "mi piace" e "non mi piace" e poi per condividere una riflessione sul peso delle canzoni nella cultura tardo-infantile, adolescenziale e giovanile, come base per decidere se e cosa utilizzare anche nella predicazione. Non è quindi un giudizio, ma un contributo.
Nota 1 - La Messa è spazio-tempo del sacro, un sacro che si definisce in relazione al suo contrario, il profano. La Messa non è un evento di piazza, nemmeno un evento ecclesiale di quelli che ho fatto anch'io. È altro. La rimozione del velo di separazione porta a sacralizzare il profano e a profanizzare (non profanare) il sacro. Sposta il confine, non lo elimina: sacralizza territori più ampi del profano e riduce quelli del sacro.
Nota 2 - Le canzoni rimandano a progetti artistici, fatti sì di canzoni, ma anche di video, interviste, immagini, foto, vestiti, non-vestiti e presenze Social. Progetti artistici che sono veri e propri modelli antropologici. Mentre un artista è attivo, non si può distinguere una canzone dal suo progetto, oggi facilmente reperibile in rete, a meno di spiegazioni introduttive che delimitino il senso della citazione.
Nota 3 - Evitare la decontestualizzazione dal progetto, che può avere effetti paradossali: a voler ben vedere sono molte le canzoni con frasi utilizzabili fuori contesto anche in un'omelia. Un esempio estremo, da applicare anche ad esempi meno estremi, evidenzia che l'attenzione contestuale è fondamentale: la frase «delle volte sento che devo scappare, che devo fuggire via dal dolore che tu porti nel mio cuore» qualcuno potrebbe persino riferirla a un dialogo immaginario tra Maria e Gesù, mentre è l'incipit del testo di «Tainted Love» di Marilyn Manson, il cantante dipinto come 'anticristo' per antonomasia.
Nota 4 - Le canzoni sono milioni di milioni come diceva un vecchio claim pubblicitario: ne esistono anche moltissime di christian music la cui esistenza è pressoché ignorata da chi propone, in modo diverso, lo stesso Messaggio. Un approfondimento in tal senso non sarebbe male.
Nota 5 - La viralità di un video non significa solo apprezzamento o missione compiuta: soprattutto su Tik Tok hanno successo anche 'cose divertenti'. Da sapere, senza giudicare il caso singolo, ma da sapere.
In conclusione, usare una canzone non è una cosa banale come potrebbe apparire, ma il frutto di un percorso di conoscenza che permette di avere uno sguardo ampio, non limitato al momento e che eviti di considerare il successo reale o percepito o indotto come unico criterio morale per valutare la bontà di un prodotto. La qual cosa, in ambito ecclesiale, non sarebbe una cosa da poco. O almeno così mi pare.
© Marco Brusati
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